Adobe e il caso venezuelano

Neanche dieci anni fa, era il 2011, il mondo del software subì un brusco cambio nel modello distributivo, si passò, infatti, dal sistema cosiddetto Standalone a quello denominato Software as Service. Una differenza sostanziale che fece particolarmente discutere perché con la nuova modalità, anziché acquistare una scatola con all’interno il cd o il dvd del software, era – lo è tutt’ora – necessario abbonarsi per il suo utilizzo. I vantaggi sono indiscutibili.

Innanzi tutto, lo sviluppatore ha la possibilità di rilasciare aggiornamenti con più frequenza, di limitare la pirateria, di conoscere il parere degli utenti e adoperarsi per eventuali modifiche. Poi il beneficio di non dover acquistare una nuova licenza ogni qual volta viene rilasciata la major release, l’introduzione del multipiattaforma che estende l’utilizzo anche ai dispositivi mobile.
Al contrario, gli svantaggi sono essenzialmente due: obbligo di utilizzo di una carta di credito, una pratica diffusa solo recentemente e non certo grazie ai software, che per molti può rappresentare ancora un deterrente; impossibilità di poter aprire e editare i propri file una volta terminato e non rinnovato l’abbonamento. Questo secondo limite fu il motivo di lunghe discussioni sulla rete, ma anche di incaute previsioni, come la mancata diffusione. Il SaaS, invece, è ormai una realtà affermata e consolidata.

Se ci potevano essere delle criticità nel modello di distribuzione on-demand, queste erano limitate all’ambito tecnico, certamente non legate alla politica.
Il 5 agosto 2019, con l’Executive Order 13884, il Presidente degli Stati Uniti d’America ha vietato le transazioni e i servizi tra società ed entità statunitensi e individui in Venezuela, motivandolo in questo modo:

e alla luce della continua usurpazione del potere da parte di Nicolas Maduro e delle persone ad esso affiliate, nonché delle violazioni dei diritti umani, compresi l’arresto e la detenzione arbitrari o illegali di cittadini venezuelani, interferenze con la libertà di espressione, anche per i membri dei media, e tentativi in corso di minare il presidente ad interim Juan Guaido e l’esercizio dell’Autorità nazionale venezuelana del legittimo potere in Venezuela”.

Senza entrare nel merito della questione, dove le ragioni possono essere condivisibili o meno, quello che deve far riflettere è che piattaforme social, software in abbonamento di ogni genere, intrattenimento, audio e video, fino ad arrivare ai dispositivi stessi che vengono utilizzati, possono diventare un ottimo mezzo di scambio per ottenere accordi vantaggiosi a livello politico o per imporre i propri interessi commerciali. C’è, ad esempio, il caso recente di Google costretta a sospendere il Play Store ai dispositivi Huawei che come conseguenza diretta, inizialmente, ha impedito alle persone di tutto il mondo di installare nuove applicazioni, aggiornare le esistenti, così come lo stesso sistema operativo. Ciò, quindi, dovrebbe imporre una riflessione in grado di coinvolgere e interessare la società in generale, perché l’esperienza di utilizzo, che in tutto il mondo ormai conosciamo fin troppo bene, può essere improvvisamente interrotta causando notevoli problemi, con conseguenze disastrose che vanno dall’ambito lavorativo a quello emotivo, perché questo è il risultato di un sostanziale monopolio.

Ad ogni modo, Adobe nell’applicare l’ordinanza presidenziale ha anche avviato una trattativa con il governo, il cui esito ha permesso, all’azienda americana, la licenza di continuare a fornire i loro prodotti agli utenti venezuelani.

Federico Emmi

 

Immagine copertina tratta di Google

https://theblog.adobe.com/adobe-continues-digital-media-access-in-venezuela/

https://www.treasury.gov/resource-center/sanctions/Programs/Documents/13884.pdf